Palm Springs, recensione, da Ricomincio da capo alla logica del respawn
Romcom scanzonata ma non troppo, Palm Springs a tratti è un po’ come se Christopher Nolan ci raccontasse una simpatica freddura
Ci sono film che intercettano un cosiddetto état d’esprit, un atteggiamento, un modo di pensare contingente, descrivendolo in parole povere, alla portata di tutti. Proprio per questo, infatti, certi testi si rivelano accessibili, e sta lì l’abilità, ossia nell’essere sintetici ma chiari, onnicomprensivi. Ebbene, Palm Springs non è quel film.
Porsi il problema, tuttavia, ha un suo perché, e certamente ad Andy Siara, che ne ha scritto la sceneggiatura, va riconosciuto l’essersi almeno avvicinato a qualcosa d’interessante. Il riferimento a Ricomincio da capo è palese e manifesto, ma in fondo la formula di Palm Springs è un po’ come se partisse dal celebre film di Harold Ramis, sì, per poi però cercare anche altrove ispirazione.
Un buddy-movie che strizza l’occhio a chi Nolan sotto sotto vorrebbe apprezzarlo, e forse lo apprezza pure, ma alla fine lo trova irricevibile, tra le altre cose, per certa sua strutturale epicità, giudicata magari posticcia proprio per via di questo giochino che sistematicamente viene riproposto, in forme diverse. Anche in Palm Springs vi è un giocare col tempo, anzi barare, proprio perché il tempo viene cristallizzato in ventinquattr’ore che si ripetono ancora e ancora, solo in maniera appena un po’ diversa di volta in volta.
È lo schema dell’esplorare una scena, o una situazione per meglio dire, ed i suoi risvolti procedendo non in verticale ma in orizzontale: anziché passare allo step successivo, al giorno dopo in questo caso, cerchiamo di capire meglio così ci offre la location in cui ci troviamo, cosa che, a condizioni “normali”, non avremmo nemmeno pensato di fare.
È così che Nyles si risveglia, tenta per l’ennesima volta di fare sesso con la sua ragazza, Misty, non riuscendoci, per poi attendere un’intera giornata che arrivi il momento delle nozze, quelle di Tara, di cui Misty è appunto la testimone. Ci sono dei momenti nei primi venti minuti, in cui non ci si riesce ancora ad orientarsi bene, e mi pare si tratti di una buona gestione: quando ancora non ci è chiaro lo schema, assistere all’ubriaco Nyles che anticipa pressoché ogni singola azione di molti invitati, facendosi bello agli occhi di Sarah, sembra di essere stati scaraventati altrove, in un altro contesto, salvo poi capire poco più avanti.
Sarah, suo malgrado, diventa la compagna di Nyles in questo loop, ed emerge una prima traccia. Qui Palm Springs muta da commedia scanzonata, registro che comunque si protrae un po’ per tutta la vicenda, a romantica; una disillusa storia d’amore, ché spazio per un romanticismo più viscerale forse non ce n’è più, e allora sotto con le rivelazioni, lo scavare sebbene funzionale nel passato recente o meno di questi due ragazzi le cui vite, anche quando il tempo scorreva normalmente, si trovavano comunque a un punto morto.
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Ecco, mi pare che, se il film si avvicina a quanto brevemente tratteggiato in apertura, lo fa proprio in relazione a tale “punto morto”. La logica del respawn, ovvia per chi bazzica o ha bazzicato il videogiocare online, diviene quintessenziale sì, ma in maniera diversa rispetto a quanto visto in sala finora: attraverso questo escamotage non s’intende indovinare la giornata, far sì che tutto, in quelle ventiquattro ore, fili per il verso giusto. No. Il senso è trovarsi dinanzi alla propria inadeguatezza, fermarsi letteralmente, per essere costretti a vedere ciò che il tempo, fin lì, ha consentito di rinviare con troppa impunità. Quando non ti devi più preoccupare di alcuna conseguenza, e sei davvero solo, come Nyles per chissà quanto tempo (anche se un compagno di viaggio in realtà ci sarebbe già prima di Sarah), allora qualcosa accade, deve accadere. Insomma, il senso implicito del respawn, se calato in ambito di videogioco in multiplayer, ossia migliorare sé stessi anziché le condizioni entro le quali si opera.
Ma questo è ciò che ne ricava il sottoscritto nel sottotesto, perché appunto Siara ha una sintesi più efficace, certo, in larga parte perché piaciona. Non si può comunque esser contro a un simile approccio per partito preso, specie quando là fuori c’è tanto materiale inutile che aspirerebbe a fare la stessa cosa che tenta di fare Palm Springs, non solo senza successo, ma a detrimento di un settore tutto.
Trattasi peraltro di un film che credo valga la pena tenersi a prescindere, anche per quel suo afflato postmoderno, vagamente anni ’90 nell’attingere a certa rassegnazione rispetto alla complessità, anzi, vacuità dell’esistenza: c’è da chiedersi se oggi Siara scriverebbe ancora una sceneggiatura del genere, in questo modo. D’altronde il contesto in cui lo si osserva, un film, non è mai ininfluente; ha senso porsi certi quesiti, e ne ha molto farlo adesso, quando sembra quasi un lusso attardarsi su ciò che oggettivamente non si capisce e porta spaesamento. Lo stato di alienazione che attraversa Nyles sembra venire da un altro secolo, e se possiamo fare un’affermazione del genere è appunto perché non ne seguiamo le peripezie da una bolla.
Ad ogni modo, sarà interessante capire quale identità di Palm Springs ci restituirà il tempo. Non credo contempli il potenziale da cult, o anche solo da commedia generazionale – cosa, quest’ultima, alla quale, forse incosciamente, aspira ad essere, più per come si atteggia che per quanto racconta. Ci sono cose apprezzabili, tipo il lavoro di montaggio, le soluzioni che, in questa fase, fioriscono dall’incipit stesso: poiché nel ritmo risiede parecchio del fascino di questo mezzo, sapersi confrontare con lo sviluppo di una trama che potrebbe essere molto ingarbugliata eppure non lo è affatto, mi pare un plus notevole. In attesa del verdetto, si ha intanto modo di passare una divertente ora e mezza, senza rivendicazioni e lezioncine. Come a fine anni ’90, per l’appunto. E ci sono persino i dinosauri.
Palm Springs (USA, 2020) di Max Barbakow. Con Andy Samberg, Cristin Milioti, J.K. Simmons, Meredith Hagner, Camila Mendes, Tyler Hoechlin, Peter Gallagher, Dale Dickey, Tongayi Chirisa, Aleshya Uthappa, Chris Pang, Jacqueline Obradors e June Squibb. Nelle nostre sale da giovedì 22 ottobre 2020.